Nei mondi più freddi dell’Universo (2539)

Io e il mio amico Yukon nei mondi più freddi dell’Universo

Agli inizi del XXVI secolo si sviluppò l’ingegneria astronautica denominata “a controllo di calore”, con scafi a stadi concentrici separati da intercapedini a paratie termoisolanti, capaci di raggiungere pianeti con ogni tipo di clima. Nello stadio più interno la permanenza dell’equipaggio era confortevole, anche quando le astronavi atterravano su mondi glaciali o roventi.

Yuriy Volkov, “Yukon” per gli amici, era un comandante della flotta spaziale della Terza Federazione Russa di Terra Magistra, studioso di eso climi estremi. Egli metteva le sue sperimentate conoscenze a disposizione di quei pianeti in fasi cicliche di perturbazioni climatiche, che oscillavano da un eccessivo riscaldamento ad una massima glaciazione.

Nella prima metà del XXVI secolo gli abitanti di Terra Magistra, grazie alla prolungata durata della vita, fecero per la prima volta nella storia dell’Umanità l’esperienza diretta di un cambiamento climatico, perché passarono nel corso dei loro anni da una fase di riscaldamento – che aveva avuto il suo picco tra il XXI e il XXIII secolo – ad una di glaciazione, iniziata al principio del XXV.

Per approfondire le peculiarità di tale mutamento e contrastarne gli effetti devastanti, dal XXV secolo iniziarono le rotte verso pianeti freddissimi. Era opinione comune che, osservando il ciclo vitale dei loro viventi adattarsi a quelle condizioni estreme, si potessero fronteggiare gli stessi eventi su Terra Magistra. Anche per questo si diffuse la tecnica astronautica “a controllo di calore”.

Le mie principali referenze, richieste da Yuriy Volkov, provenivano da Derek “Beach Boy” Stanton, lo strambo e spericolato navigatore che avevo accompagnato nel 2367 in un avventuroso viaggio in cerca di Aurore Astrali, su una pubblicizzata carretta spaziale ecologica a controverso risparmio energetico dal nome altisonante, la “Green Betelgeuse”, che all’epoca era gestita dalla “Greener Army”, un’organizzazione ambientalista cocciuta nella salvaguardia degli ambienti galattici più insignificanti, e per di più opacamente finanziata. La nave era un po’ malandata, ma “Beach Boy” Stanton era davvero un super pilota e sapeva guidarla magistralmente, anche se durante il tragitto mi trovai quasi sempre in bilico fra uno svenimento e una crisi d’angoscia.

Volkov, impressionato dalle lodi sperticate che Stanton aveva rivolto nei miei confronti per il coraggio che, secondo lui, avevo dimostrato durante quel rischioso viaggio, volle a tutti i costi imbarcarmi con lui nel 2539 per documentare la sua pericolosa esplorazione. E così, nel corso dei lunghi intervalli tra una discesa e l’altra su pianeti freddi e inospitali, avemmo modo di conoscerci e diventammo amici. Yuriy forse apprezzava il mio modo equilibrato di lavorare e di farmi educatamente gli affari miei, mentre io di lui ammiravo qualcosa di molto più prezioso: le profonde conoscenze e qualità umane, che lo rendevano simile all’altro mio grande amico il Capitano Lazarus O’Bannon Smith, pur se di temperamento diverso. Quando mi capitava di accompagnarli in viaggio, mi sentivo sempre un po’ in stato di inferiorità. Ma è pur vero che ogni volta che sbarcavo dalle loro astronavi mi sentivo spiritualmente arricchito e migliore.

Di seguito ecco le foto della “Green Betelgeuse” e del Volodja, il battello “a controllo di calore” preferito da Volkov. Nella seconda si distinguono pure il pianeta Zoroastro con l’inclinazione assiale di 90° – scoperto alcuni anni prima della nostra spedizione – caratterizzato dagli anelli che ne seguono l’inconsueta rotazione; più in basso Nevanost 11, stella nana rossa unica fonte di energia per i mondi circostanti, le cui orbite venivano spesso attraversate da iridescenti brillamenti solari, anch’essi visibili nella foto, battezzati dai piloti astronautici “Correnti Magellaniche” per la loro pericolosità.

L’astronave Green Betelgeuse
L’astronave Volodja, il pianeta Zoroastro in alto con gli anelli, la stella nana rossa Nevanost 11 in basso al centro

Testo, elaborazioni e rendering digitali di Enrico Smith.