Enrico Smith partecipa, dal 20 al 28 aprile 2019, alla mostra “Alle radici dell’umano” allestita a Matera nella Casa Cava, con l’opera “Alla Ricerca della Forza Ctonia”.

Alla ricerca della Forza Ctonia
Sull’enorme veicolo ricognitore “Dyògenex” di Bènefor Lugosi, il Capitano Lazarus O’Bannon Smith e il Luogotenente Sandez viaggiarono a lungo, insieme allo stesso Lugosi, in cerca della mitica forza ctonia ritenuta, fin dal XXV secolo, originaria di tutto l’Universo e capostipite biologica di tutte le specie cosmiche.
Tutti gli scienziati e gli esobiologi da decenni ne supponevano il principio nell’area del lontanissimo mondo rovente di Hephàistos, situato nel sistema Iskra della Galassia di Žukov.
L’esobiologo e mitologo Ermagora – questo era il nome del Genitore 4, uno dei sette genitori legali di Lugosi – aveva abbandonato il figlio ancora bambino per mettersi in viaggio nell’Universo alla ricerca di una potenziale energia ctonia, di cui a tutti i costi voleva essere lo scopritore, ma dopo qualche tempo non aveva più dato notizie di sé.
Lugosi, postosi sulle tracce del genitore con la speranza di ritrovarlo, ne proseguiva comunque la missione scientifica sfruttando le ben più efficaci tecnologie di esplorazione spaziale progettate negli ultimi anni. Nel frattempo, proprio in quella zona galattica, erano stati rinvenuti numerosi indizi che sembravano confermare la teoria di Ermagora.
Il mistero della Forza Ctonia
Però Bènefor Lugosi, il Capitano O’Bannon Smith e il Luogotenente Sandez con la loro missione, invece che diradare il mistero dell’origine di tale forza, lo complicarono; poiché al loro ritorno sulla Terra riportarono alcuni reperti che, riconducibili ad un lontano passato terrestre, misero in discussione la teoria della genesi ctonia, ricollocandola biblicamente sull’antico Eden della Terra.
“ … Inoltre, risucchiati dai potenti attrattori dell’astronave, accertammo nel Quadrante Galattico di Hephàistos la presenza di manufatti terrestri antichi di migliaia e migliaia di anni. Ma come avrebbero potuto mai trovarsi lì? Chi, e con quale tipo di tecnologia, ce li aveva portati? … ”: questa fu una delle frasi scritte da Lugosi sul diario di bordo che fece più discutere al loro rientro sulla Terra, quando tutti i documenti della missione vennero pubblicati.
La foto è una delle tante scattate e poi renderizzate da me, su un’astronave d’appoggio che aveva seguito il “Dyògenex” per l’intero suo percorso.
Del ricognitore sono ben visibili, per le loro fluorescenze, gli enormi attrattori pulviscolari con i loro rifrattori pluridimensionali a “quanti” di energia, destinati a raccogliere le tracce primordiali della forza ctonia dell’Universo da analizzare. La parte abitabile dell’astronave si trovava nelle due appendici inferiori, che la facevano assomigliare ad una sorta di catamarano spaziale. Tutto il resto era per me tecnologia avanzatissima e misteriosa.
In basso a sinistra si riconosce Hephàistos con la sua atmosfera infuocata e, sullo sfondo a destra, la parte più esterna della Galassia di Žukov.
Eravamo agli inizi del XXVII secolo, all’incirca nel 2605.
Henry Smith, fotografo spaziale.
Sinossi e presentazione tecnica dell’opera
L’opera consiste in un’immagine virtuale, realizzata al computer con software di elaborazione tridimensionale (Blender 3D), successivamente stampata in laboratorio specializzato su supporto adeguato.
Le raffigurazioni che si vedono nell’opera non sono semplici scatti fotografici, come in alcuni casi potrebbe sembrare, ma “renderizzazioni” (cioè file digitali riproducibili materialmente con procedimenti foto tipografici) di vere e proprie scene virtuali immaginate e progettate dall’autore, con l’ausilio di un programma di grafica tridimensionale.
Tali scene sono composte di oggetti virtuali che mescolano linee, forme, textures, colori e riempimenti tutti disegnati e manipolati direttamente dall’autore sullo schermo del computer, con l’utilizzo di opportune periferiche. I vari oggetti che si vedono nella rappresentazione sono stati disegnati e creati dal nulla, direttamente realizzati al computer senza l’aiuto di programmi di foto ritocco tradizionali, all’interno di una scena totalmente virtuale. Quindi la loro realizzazione ha richiesto molte ore di lavoro.
L’opera è costituita da un’immagine che è il risultato di una composizione di oggetti virtuali, frutto ciascuno di una elaborazione digitale, effettuata in cinque fasi successive all’interno dello stesso file: 1) disegno, 2) rivestimento, 3) illuminazione e inquadratura, 4) compositing, 5) rendering finale.
Tutto ciò che si vede raffigurato non esiste nella realtà, ovviamente, e tanto meno alcun oggetto è stato in precedenza fotografato.
Solo per alcuni sfondi d’ambiente e rivestimenti d’oggetti sono state utilizzate mappature, ossia parti ricavate da disegni o fotografie digitali (di cieli, parti geometriche o panorami ad esempio) manipolate e adattate accuratamente alla forma e alle dimensioni degli oggetti “rivestiti”.
Tali elementi, soprattutto durante la fase del compositing, sono stati poi opportunamente deformati e inseriti, tenendo conto dell’illuminazione e dei diversi punti di vista,nel set virtuale che si è voluto realizzare e successivamente renderizzare.
Enrico Smith

Sandro Cordova alias il Luogotenente Sandez