L’Uomo‑Lupo nel Pianeta delle Scimmie

L’Uomo Lupo nel Pianeta delle Scimmie

Ahimè, che Zeus ha concesso ch’io fuor di speranza vedessi

terra e alfine riuscissi ad attraversar quest’abisso,

ma da nessun lato si vede un’uscita dal mare spumoso:

fuori di qui punte aguzze, all’intorno muggisce rombando

il flutto, liscia in lungo si stende una scogliera,

il mare è profondo e non è possibile in nessun modo

appoggiarsi sui piedi e sfuggire alla rovina;

se tento d’uscire poi temo che un grosso maroso afferrandomi

sul duro sasso mi scagli, e vana sarà la mia prova.i

Dopo la mareggiata

Si racconta che, quando il gruppo dei nostri antenati, percorso silenziosamente il sentiero dal villaggio al mare, ebbe raggiunto la spiaggia oltrepassando le dune levigate dal vento, nessuno di loro si chiedesse quali insidie potesse nascondere quell’ammasso informe arenatosi sulla riva dopo la mareggiata.

Così, arrivati a poche centinaia di metri da quella catasta di legni ed alghe, balzarono avanti tutti insieme ululando e agitandosi imprudentemente. Restarono indietro soltanto l’Allodola, unica in certe occasioni a nutrire qualche perplessità e timore, ed il Lupo, per natura sempre diffidente e solitario. Scimmietta 6 per un po’ rimase indecisa accanto a loro, poi sopraffatta dalla curiosità si affrettò anch’essa verso la battigia per raggiungere il resto del gruppo, lasciando l’Allodola a saltellare titubante sulla cima dell’ultima duna, prima del digradare verso il mare, e il Lupo con il muso fiero e le narici dilatate a odorare sospettoso lo spirare del vento.

Giunto infine nei pressi del relitto, in mezzo alla schiera che gli si era formata attorno, Scimpanzé 1 fece cenno a Scimpanzé 2 e 3 di approssimarsi ancora di più all’intrico di rami che ricoprivano il cumulo, mentre Orango 5 e Gorilla 8 si tenevano poco distanti, pronti ad intervenire in aiuto dei compagni più esposti.

Sepoltura

Avvicinatisi fin quasi a toccare l’ammasso abbandonato e lambito di quando in quando dalle onde, Scimpanzé 2 e 3 udirono distintamente sussurri e lamenti provenire dall’interno del mucchio di rami calcinati e salmastri che costituivano la sorprendente sepoltura di quell’oggetto indefinibile che si trovava di fronte a loro.

Sbuffando e rumoreggiando, incuranti dell’odiata acqua, immediatamente si diedero da fare per scostare rapidi i legni e le alghe superficiali, e poter vedere che cosa mai nascondesse nel ventre quella specie di scrigno marino.

Dopo un po’ si arrestarono e, trascorso qualche attimo in cui una magica sospensione interrogativa di suoni e gesti aveva uniformato l’atteggiamento di tutto il gruppo, Scimpanzé 2 e 3 ulularono forte incitando i compagni a farsi avanti per constatare di persona.

Il loro comportamento non manifestava alcuna preoccupazione, tanto che anche l’Allodola decise finalmente di unirsi a loro e lasciò svolazzando la duna su cui era rimasta immobile fino ad allora. Il Lupo invece non si mosse: si limitò a puntare con il muso nella loro direzione e a fissare tutta la scena con ancora maggiore attenzione.

Scimpanzé ed Oranghi s’ingegnarono a estrarre dallo scrigno marino, che il fato aveva inviato loro in sorte, il mistero fino ad allora celatovi dentro; come se finalmente i loro occhi fossero stati in grado di vedere ciò che sino a quel momento gli era stato invisibile.

Lentamente, dalla parte inferiore di quello strano guscio, i primati trascinarono all’aria aperta quello strano animale con due braccia e due gambe molto simili alle loro, ma quasi completamente privo di peli e con un muso che loro non avevano mai visto. Quel nuovo animale sarebbe potuto sembrare morto e sepolto, se non fosse stato per il lieve sussultare del petto e delle palpebre chiuse, incrostate di salmastro.

Gli ululati delle scimmie si fecero sempre più flebili, finché tutte si fermarono in silenzio a guardare i lineamenti di quella buffa bestia.

Solo l’Allodola, ormai completamente rassicurata, continuò a saltellare e svolazzare attorno al capo reclinato di quell’insolito essere inanimato, lasciando piccole tracce sulla sabbia.

Proprio come avrebbe fatto nei tre anni successivi accanto al Nuovo Animale, ogni volta che questi abbandonava il villaggio delle scimmie per andare sulla spiaggia a scrutare per ore ed ore il mare all’orizzonte, seguito solo dallo sguardo perplesso di Orango 5 e del Lupo.

Orango 5

“Tu continui ad indicarmi il cielo e l’orizzonte, ma io non ho bisogno di guardare né l’uno né l’altro: io ho bisogno di prendere il largo, di tornare a solcare il mare e d’interpretare i suoi imperscrutabili segni! Ho bisogno di tornare nella mia isola che tu non sai nemmeno che cosa sia.” Nuovo Animale pronunciò quest’ultima frase abbassando il tono della voce, con una vena di rimpianto appena percettibile.

Poi guardò Orango 5 che lo fissava immobile, seduto davanti a lui sulla sabbia dorata, a pochi metri dalla riva del mare e a poche ore dal tramonto.

“Ma tu che ne sai, vecchio scimmione!”, esclamò sconsolato, abbassando il capo. “Tu sei ignaro del significato delle mie parole, e più io penso al mio orizzonte perduto, più tu mi mostri il tuo.”

A queste parole, Orango 5 puntò il muso verso il suo interlocutore, che aveva chinato lo sguardo proprio mentre le palpebre dell’orango si restringevano e gli occhi gli si inumidivano.

Così Nuovo Animale non poté accorgersene, tutto preso nei suoi pensieri e rimpianti.

Capanna madre

Lupo ascoltava il mugugno soffiante di Orango 5 e capiva che il suo compagno era preoccupato per Nuovo Animale. Allora si recò nella Capanna Madre per percepire indicazioni sul comportamento da tenere con lui dai più anziani del branco.

Tutti i lupi si attendevano che si facesse qualcosa per quell’insolito essere che da tre anni teneva loro compagnia, impaziente però di lasciarli tutti il prima possibile alla ricerca di una guarigione che distava ben oltre l’orizzonte del mare. Ma Nuovo Animale sembrava fatto così: un istinto insopprimibile lo spingeva verso sogni e segni indecifrabili, che lui continuamente s’inventava e distruggeva, una volta interpretati, come se nella sua testa fluttuasse una specie d’istinto superiore basato su pensieri complessi e sconosciuti che lo portavano il più delle volte a sbagliare, ma anche ad inventarsene poi di ulteriori, sempre all’inseguimento di nuove tracce su un sentiero di caccia immaginario che non aveva mai fine.

In questo il Lupo vedeva una forte somiglianza di quell’essere con la sua specie, ma almeno loro avevano imparato quali erano le piste veramente importanti da seguire, e a fermarsi per lenire le proprie ferite una volta arrivati al termine del sentiero di caccia.

Ma appunto per questo quell’essere così diverso e superiore sembrava più bisognoso d’aiuto. Così Lupo decise di aiutarlo. Una sola volta, però.

Perché Lupo sapeva che nessun animale di questa terra può sfuggire al suo destino.

Piroghe

Un giorno Lupo e Orango 5 si avvicinarono a Nuovo Animale, strofinandoglisi e leccandolo. Lentamente lo spinsero in un luogo segreto dove loro e un gruppo di volenterosi scimpanzé avevano ammassato legni e costruito due strutture molto somiglianti a quella che il mare aveva trasportato sulla riva tre anni prima, regalando loro la compagnia di quell’essere mai visto prima.

Essi avevano intuito con il loro istinto la necessità che attanagliava il cuore di Nuovo Animale: quella di abbandonare la Terra delle Scimmie e ritornare sull’Oceano, alla ricerca della sua isola. Un’isola che solo lui conosceva e, forse, quelli della sua specie al di là dell’orizzonte; un’isola fatta di sogni e conquiste che non appartenevano né ai lupi né alle scimmie, né a tutti gli altri animali.

Quando Nuovo Animale vide le due strutture, il suo viso s’illuminò e dalla sua bocca uscirono suoni che all’epoca né Lupo né Orango 5 seppero interpretare.

“Piroghe, piroghe! Grazie, miei buoni amici.”diceva. “Con queste potrò tornare a casa e rivedere tutte le cose belle della mia specie, per ricominciare a sognare. Un giorno vi dovrò abbandonare, ma vi lascerò qualcosa in ricordo di me: qualcosa di cui poi non potrete più fare a meno!”. Nuovo Animale parlava via via più forte mentre stringeva e accarezzava con sempre maggiore foga Lupo e Orango 5.

Il capezzolo di Venere

Una decina di giorni dopo l’Uomo Lupo, così ormai lo immaginava Lupo, condusse lui e Orango 5 di fronte ad una sorta di larga cupola fatta di cortecce di palma e disse: “Restate vicino a me: non me ne andrò prima di avervi insegnato una cosa. Accucciatevi accanto a me e guardatemi bene. Solo quando avrete perfettamente capito quello che faccio e saprete ripeterlo agli altri della vostra specie io salperò verso l’orizzonte e non mi vedrete più. Questo cumulo di cortecce che vedete qui davanti a voi io l’ho chiamato Capezzolo di Venere. Da noi Venere è la dea dell’amore e l’amore genera conoscenza, e la conoscenza è come un latte benefico che tutti dovremmo suggere, uomini ed animali.”

Dopo che ebbe pronunciato queste parole, Lupo ed Orango 5 lo videro prendere un ramoscello, intingerlo dentro una ciotola con un liquido scuro dentro, e con quello cominciare a tracciare strani segni sinuosi su una prima corteccia, e poi su un’altra, e poi su un’altra ancora. E poi ancora, e ancora…

Rito finale

Passarono millenni e millenni. Così tanti che oggi non sapremmo contarli tutti, anche se noi animali abbiamo imparato a farlo altrettanto bene che gli uomini.

La specie dei Nuovi Animali, che noi poi sapemmo chiamarsi “Uomini”, non riuscì a sopravvivere a se stessa, ma riuscì ad infliggere inenarrabili sofferenze agli animali nel corso del tempo. Ma noi conserviamo il ricordo di almeno uno buono fra loro: l’Uomo Lupo che strinse amicizia con noi; in particolare con Orango 5 e Lupo, di cui ancora onoriamo il ricordo, dopo tante generazioni.

Essi tentarono di aiutare l’Uomo Lupo: cercarono di convincerlo a rimanere con ogni tenero gesto di cui gli animali siano capaci, ma per lui sembravano molto più importanti i segni e le parole, e quelle noi non le sapevamo ancora pronunciare e comprendere, prima che lui ce le insegnasse tutte; così come non sapevamo interpretare e realizzare sulla sabbia quei disegni che lui spesso ci invitava a guardare. Ma noi all’epoca non sapevamo ancora vedere: forse ci riuscimmo un’unica volta, quando i nostri antenati lo scoprirono all’inizio di questa storia quasi morente, dentro il suo scrigno marino arenatosi sulla spiaggia.

L’Uomo Lupo ci ha lasciato in eredità il linguaggio e con esso quei pensieri complessi che gli uomini chiamano “ragione”. Egli li insegnò con pazienza ad Orango 5 e a Lupo, nei cinque anni che trascorse con loro prima di abbandonarli definitivamente.

Lupo e Orango 5 poi li tramandarono, insegnandoli ai loro figli e nipoti; i nipoti ai nipoti, e quindi a noi tutti.

È per questo che oggi veneriamo quegli ultimi strani segni che egli lasciò vergati su una corteccia di palma a Lupo e Orango 5, strofinandosi a loro, nello stesso modo in cui essi l’avevano fatto con lui tante volte in segno di amicizia profonda, come in un rito finale il giorno prima della sua partenza definitiva verso l’orizzonte.

Di quei segni però noi oggi conosciamo bene il suono ed il significato, perché Lupo ed Orango 5 cominciarono ad insegnarcelo tanto tempo fa.

“La quantità dei fenomeni descrive un periodo storico di tempo dove le forme diventano simbolo di uno stato d’animo e di una presenza. Raccolgo questa idea perché ne ho una consapevolezza diretta. Ma non mi guarisce ”.ii

Solo questo ci lasciò, insieme al ricordo della sua esistenza, come se fosse un mondo nuovo.

Ma ora sappiamo che niente rimane uguale tra tutte le specie, se non il desiderio di guarire.


Enrico Smith

L’intero racconto e i titoli dei capitoli si ispirano ad opere omonime di Pino Genovese

iOmero, Odissea V, 408 – 416. I Mammut 54, traduzione di Mario Giammarco; Newton &Compton Editori, aprile 1997.

iiPino Genovese.