Le Correnti dello Spazio (primi mesi del 2519)

Le Correnti dello Spazio

Nel XXV secolo, i battelli spaziali che si usavano per raggiungere le regioni più fredde del cosmo erano del tipo detto “Whale Like” per via della forma somigliante a quella di una balena e, come le balene, adatti a mantenere la temperatura interna costante. Queste astronavi erano concepite per affrontare i rigori intensi dello spazio, sfruttando sia la loro particolare struttura costruttiva, sia la presenza delle cosiddette “Correnti dello Spazio” in quelle regioni. Tali improvvise emissioni gigantesche di particelle di energia dalla provenienza sconosciuta, un po’ come le grandi correnti oceaniche della Terra, erano capaci di trasportare calore da un punto all’altro dell’universo, a velocità maggiori, in taluni casi, di quella della luce. Ben presto inoltre si scoprì come sfruttare il potenziale energetico delle Correnti per soddisfare la sempre maggiore necessità d’energia nell’Universo abitato, e farlo diventare, in meno di un secolo, un lucroso commercio intergalattico.

Le nuove navi del tipo Iron Whale potevano raccogliere e accumulare l’energia delle Correnti, per sfruttarla successivamente, allorché ne incontravano qualcuna. Naturalmente l’incontro non era mai scontato né facile, nonostante i sofisticati strumenti di ricerca. Spesso occorrevano mesi terrestri di faticosa caccia per incrociarne una e imbrigliarne almeno una parte dell’energia negli appositi scomparti al plasma della nave, detti “Cestini”, con complesse manovre che soltanto pochi capitani sapevano effettuare, soprannominati per questo “I Balenieri”: un po’ come i cacciatori di balene negli oceani terrestri del XIX e XX secolo.

Uno di costoro fu Nikolay “Achab” Rybakov, il quale nei primi mesi del 2519 mi chiamò con sé a documentare una spettacolare caccia alle temibili correnti del cosiddetto “Triangolo Nero”, formato dai perennemente ghiacciati pianeti Krùos, Pruinosus e Pectòs, abitati da esseri fieri e forti, temprati da una natura pressoché invivibile, in uno dei posti più inospitali dell’Universo. Però era proprio dagli angiporti di simili pianeti che si reclutavano le ciurme più abili e coraggiose per questo tipo di spedizioni: sempre a caccia di energia da immagazzinare per rivenderla poi, con guadagni commisurati ai pericoli affrontati, nelle regioni delle galassie che ne avevano bisogno, in circostanze fortunose e con battelli più o meno carichi.

L’astronave nella foto è la “Pequod IV”, sulla quale era imbarcato Rybakov, ripresa dalla “The Whale IX”, dove mi trovavo io. Entrambe le navi erano dei buoni scafi molto simili e, nei pressi dei pianeti del Triangolo, stanno per intersecare le scie gigantesche di tre correnti, apparse meravigliosamente dall’infinito nulla, quasi fossero loro a dare la caccia a noi e non viceversa.

Pequod IV

Testo scritto, elaborazioni e rendering digitali di Enrico Smith