L’aria densa del “Tenebroso Tentacolo” vibrava di un brusio eccitato e torbido. Jenna strinse la mano di Duko, il cuore che le batteva all’impazzata contro le costole. Le luci stroboscopiche di un verde malato proiettavano ombre danzanti sulle pareti viscide del locale, illuminando per un istante volti deformi e risate gutturali. L’odore acre di spezie aliene e sudore impregnava l’ambiente, un velo opprimente che si sommava alla loro ansia.
L’ambiente del locale notturno di Umbra, un pianeta minore del Sistema Secondario, saturo di fumo acre e di un’eco lontana di risate stridule, stringeva i due terrestri immigrati clandestini Jenna e Duko, come una morsa. La luce verdastra di una vecchia insegna al neon, fiocamente visibile attraverso la porta socchiusa, era l’unico spiraglio in quell’oscurità perenne che avvolgeva il pianeta, su cui i due erano venuti a cercare un po’ di fortuna, emigrando rischiosamente da Terra Magistra, loro pianeta d’origine. I cuori gli battevano nel petto, all’unisono con il ritmo febbrile della musica che proveniva dalle profondità del locale. Un suono alieno eppure stranamente familiare per le ore angoscianti che avevano trascorso e a cui erano ormai abituati.
“Sono di là,” sibilò Duko, gli occhi che saettavano nervosamente verso un corridoio buio da cui provenivano voci roche. “Li ho sentiti parlare di terrestri.”
Jenna annuì, la gola secca. Sapevano che la Milizia Anticlandestini non si sarebbe fermata finché non li avesse catturati. Loro unica colpa era l’immensa miseria in cui vivevano su Terra Magistra che li aveva spinti ad attraversare il Velo Stellare e la sua frontiera proibita, in cerca di quel rifugio sicuro che neppure Umbra, un pianeta minore del Sistema Secondario, si era rivelato.
Si mossero furtivamente tra la folla, cercando di confondersi con gli avventori umbrini, creature dalle forme bizzarre e gli occhi luminescenti. Ogni contatto, ogni sguardo prolungato, avrebbe potuto costituire una potenziale minaccia.
“Verso l’uscita di servizio,” indicò Jenna con un cenno del capo verso un’insegna sbiadita. “L’ho vista quando siamo entrati.”
Il percorso si rivelò un labirinto di tavoli appiccicosi e figure contorte. Un nanoide con antenne vibranti li fissò con curiosità, ma Duko lo liquidò con un grugnito gutturale nella lingua locale, imparata a fatica durante i loro giorni da braccianti nelle miniere di crisolite.
Raggiunsero finalmente la porta indicata, un battente di metallo arrugginito che gemette quando Duko lo spinse. Si ritrovarono in un vicolo cieco illuminato da una fioca lampada al neon dall’età indefinibile che sfrigolava.
“Sbagliato,” sussurrò Jenna, il panico che iniziava a serpeggiarle nelle vene.
Proprio in quel momento, un rumore di stivali pesanti ruppe il silenzio proveniente dall’interno del locale.
“Sono qui! I terrestri sono qui!” tuonò una voce autoritaria, proveniente dalla sala contigua.
Non c’era tempo per pensare. Jenna notò una grata di ventilazione, appena sufficiente per far passare un corpo magro.
“Duko, aiutami! Dobbiamo muoverci,” decise Jenna, la sua voce ora più ferma. “C’è un vecchio condotto di servizio sul retro, l’ho notato quando siamo entrati. Forse possiamo usarlo per allontanarci da qui.”
Duko annuì, sollevato da quella scintilla di iniziativa.
Con uno sforzo congiunto, riuscirono a scostare la grata arrugginita. Jenna si infilò rapida nel pertugio polveroso, seguita a fatica da Duko. L’aria era irrespirabile, il metallo tagliente graffiava la loro pelle, ma l’adrenalina li spingeva avanti.
Sentivano le voci della milizia farsi sempre più vicine e i loro stivali rimbombare nell’androne. Strisciarono nel buio, senza sapere dove quel cunicolo li avrebbe condotti, ma con la ferma determinazione di sopravvivere e di trovare un angolo di quel mondo oscuro dove poter finalmente respirare. L’ennesima fuga disperata era iniziata.
“Andiamo,” sussurrò Duko, spingendo gentilmente Jenna avanti a sé.
Si inoltrarono nel condotto, il metallo freddo e ruvido sotto le loro mani. L’oscurità era quasi totale, interrotta solo da deboli spiragli di luce che filtravano da qualche fessura. Il silenzio era opprimente, rotto solo dai respiri affannosi, dal battito accelerato dei cuori e dai cupi strepiti della Milizia alle loro calcagna.
Sapevano che la strada verso la salvezza era ancora lunga e incerta. Ma in quel momento, stretti l’uno all’altra nell’oscurità del condotto, Jenna e Duko sentivano una rinnovata speranza. Scappavano ancora una volta, ma finché ne avessero avuto la forza avrebbero continuato a lottare per la loro libertà, anche nel cuore oscuro di Umbra.
