Giallo di Cadmio

Giallo di Cadmio

Il cadmio è un metallo bivalente dall’aspetto argenteo con riflessi azzurrognoli; è malleabile, duttile e tenero al punto che può essere tagliato con un normale coltello. Sotto molti aspetti assomiglia allo zinco ma tende a formare composti più complessi di quest’ultimo…

Il cadmio non riveste alcun ruolo biologico nel corpo umano. Sia lui che i suoi composti sono tossici perfino a basse concentrazioni e tendono ad accumularsi negli organismi e negli ecosistemi.

Dalla voce “cadmio”

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Boutiques Aeroports de Paris

Nell’ambiente era conosciuto come Giallo di Cadmio, per la carnagione tendente a un pallore acido a causa delle sue origini orientali e per la fredda letalità dei suoi interventi, vicini a una percentuale di riuscita pressoché assoluta. Anche lui si riconosceva in quel soprannome, affibbiatogli dai pochi altri operatori che l’avevano visto in faccia, più di tutte le identità fasulle che aveva dovuto assumere nel corso della sua carriera in quel particolare ramo di attività.

Era arrivato nella mattinata all’aeroporto Charles De Gaulle, dove una prima traccia dell’uomo che doveva individuare l’aveva vista serigrafata su una busta di plastica in mano a un passeggero in imbarco. Era uno degli indizi che l’Organizzazione gli aveva fornito, insieme alla foto dell’uomo che doveva trovare e far sparire dalla circolazione.

Consumò un rapido caffè, accese una sigaretta e salì su un taxi alla ricerca del bersaglio.

Spatola Rossa

Dopo una giornata di domande qua e là, aveva appurato che il bersaglio faceva il pittore, ma di quel pittore alto e taciturno che si occupava solo dei fatti propri nessuno sapeva il nome. Però tutti lo conoscevano nel quartiere perché tutti l’avevano visto dipingere per strada o sui marciapiedi. Gli avevano affibbiato il nomignolo di Spatola Rossa, e anche quelli di Grande Vecchio o Il Mantello. Fu facile quindi per lui mettersi sulle sue tracce, finché incrociò tre bambini nella strada principale della zona dove il tizio bazzicava di frequente e si mise a parlare con loro con finta familiarità per arrivare a notizie più precise.

«Ragazzino – chiese a un certo punto a uno dei marmocchi –, perché chiamate così l’uomo che sto cercando?»

«Perché si diverte a fare strisce rosse con la spatola sui prati verdi!»

«No, lo fa sulla strada per segnare i posti dove c’è stato un incidente col sangue sull’asfalto e c’è scappato il morto!» interloquì con compiacimento un altro.

«È vero! Ha fatto pure un quadro col cemento dentro il vetro, dove una striscia di sangue porta dritta dritta a un’automobile tutta sfracellata; l’ha fatto vedere solo a me. Ce l’ha con quelli che corrono in macchina e ammazzano le persone», confermò orgogliosamente il terzo bambino.

«E poi – aggiunse il primo che aveva parlato – è vecchio vecchio: eccolo lì, se lo raggiungi e lo guardi avrà almeno cent’anni!»

Uno squarcio d’azzurro

Distolse lo sguardo dai monelli per guardare più avanti sul marciapiede opposto e finalmente lo vide: intabarrato in un ampio mantello scuro il vecchio camminava una decina di metri più avanti e si calcava sulla testa il cappello a tesa larga, proprio mentre si alzava un po’ di vento e le nubi si diradavano per far posto nel cielo a uno squarcio d’azzurro.

Salutò sbrigativamente i ragazzini senza neanche guardarli, lo rincorse e lo fermò toccandogli una spalla. Quello si voltò e lo guardò perplesso. Non era così vecchio, anzi aveva ancora un aspetto energico e ne avrebbe dovuto tener conto. «Chi è e che cosa vuole?» chiese l’uomo col mantello.

«Diciamo che sono un suo ammiratore. Posso parlarle per conoscerla meglio, come uomo e come artista?», buttò lì lui.

«Sì, ma non in mezzo alla strada. Andiamo a casa mia», disse il pittore mentre si aggiustava il mantello voltandosi bruscamente e riprendendo a camminare in fretta.

Una tazza di tè fumante

Erano seduti intorno al tavolino della cucina davanti ad una tazza di tè fumante, dopo che il vecchio gli aveva fatto vedere tutti i quadri che teneva direttamente attaccati o accatastati alle pareti, ingombrando tutta la casa. Giallo di Cadmio non immaginava come motivare oltre il falso interesse nei confronti dell’altro e già stava valutando di terminare lì la faccenda, quando inopinatamente fu l’altro a rompere il ghiaccio pronunciando le prime parole dopo il lungo cerimoniale della preparazione del tè, durante la quale lui non aveva proferito parola mentre teneva la mano ben vicina al risvolto della giacca.

«Mi chiamo Jovan Lucic e vengo dalla Serbia, ma qui tutti mi conoscono come Il Mantello o Spatola Rossa, come lei già saprà. Per ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare ma facili da immaginare, sono scappato dalla mia terra a metà degli anni novanta. Poi per un po’ ho vissuto a Londra dove ho lavorato alle poste, e poi tra Maribo e Nakskov in Danimarca. Alcuni di questi quadri ne sono la testimonianza. Col tempo ho imparato a ridimensionare le mie pretese e a consumare di meno per sopravvivere di più.»

Giallo di Cadmio sogghignò dentro di sé, ma fece finta di guardarlo con amichevole coinvolgimento.

«Mi sono divertito a collezionare tutta quella roba inutile che ci circonda – continuò Lucic – e che un ben collaudato sistema ci costringe ad acquisire a tutti i costi. A proposito, lo sa che ai bei tempi della Jugoslavia di Tito lasciavano le carcasse delle auto distrutte ai bordi delle strade come avvertimento per gli automobilisti e oggi invece dappertutto reclamizzano le auto più veloci come insostituibili strumenti di vita? Invece io sono stato pure arrestato perché con la spatola intrisa di rosso segnalavo per strada i luoghi degli incidenti mortali. Tutto ciò che dipingo è in realtà una mescolanza d’immagini poetiche di veri ricordi con quelle spudorate della società dei consumi. E sono contento quando qualcuno riesce a vedere nelle mie pitture non solo una critica al consumismo, ma soprattutto la ricerca di quelle rappresentazioni che affondano le radici più profonde nella vita dell’uomo e del genere umano. Talvolta queste figurazioni sono caotiche perché io stesso le sento appena, ma la vicinanza di oggetti e materiali diversi, riesce a conferirgli un’evidenza che non è arcaica, perché il passato non mi attira per niente, ma archetipica

A questo punto Lucic s’interruppe. Guardò l’altro garbatamente e in modo discreto chiese: «E lei come si chiama? Non è venuto a cercarmi per le mie pitture?»

Fagiani e folaghe

«Io mi chiamo Peter Lohan e m’interesso di pittura da quando negli anni novanta incontrai per lavoro in Africa alcuni intermediari, i quali me la fecero comprendere e apprezzare per gli aspetti tragici dissimulati nella casualità magica della materia, piuttosto che nella definitezza delle forme riconoscibili», rispose Giallo di Cadmio. Alla memoria gli tornarono le immagini della fine senza residui che lui, con le sue mani, aveva fatto fare nel 1994 a quei tre disgraziati in una fornace di Goma. «Da quello che mi ha fatto vedere oggi – continuò – penso che lei sia uno dei pittori più veri che ci siano in circolazione, perché la sua opera mi fa percepire la concretezza delle cose attraverso la molteplicità e la stravaganza dei segni, piuttosto che dei disegni.» Certe volte si meravigliava di come i suoi interessi culturali, coltivati quando smetteva di essere Giallo di Cadmio e ridiventava un facoltoso signore qualsiasi, potessero facilitare imprevedibilmente il suo vero lavoro.

«Per esempio quei due quadri lì – riprese indicando verso la parete sinistra – mi hanno riportato indietro nel tempo: quando intorno al tavolo della cucina della mia infanzia parlavo con i miei genitori. Mio padre mi raccontava delle sue battute di caccia, mentre mia madre in silenzio sorrideva e ricamava centrini.» Fece fatica a reprimere una risata al pensiero delle stupidaggini che stava inventando per irretire l’altro.

«Mia madre invece – ricordò Lucic – indossava un foulard a fiori nei giorni di festa, come quasi tutte le donne serbe all’epoca», e nel dire questo gli s’inumidirono gli occhi mentre attirava l’attenzione dell’interlocutore su un quadro posto più in alto e che sembrava conferire un’aura di solennità a tutta la parete della cucina. «Questo fece almeno fino a quando non la fecero sparire perché moglie di un musulmano bosniaco. Io non mi ero mai fatto riconoscere come l’uno o l’altro, così quando sia i cristiani sia i musulmani cominciarono a darmi la caccia, sono scappato senza farmi convertire né dagli uni né dagli altri. E amen: né fagiano né folaga!»

Lucic accennò a un sorriso ma le sue mani stringevano convulsamente la spalliera della seggiola su cui era appoggiato, mentre l’altro seduto lo guardava con gli occhi azzurrognoli dai riflessi metallici sorseggiando il suo tè solo apparentemente interessato, anche se questa storia dei fagiani e delle folaghe aveva fatto scattare in lui un indecifrabile campanello d’allarme.

L’inferno scorre al di sotto

Jovan Lucic continuò: «L’inferno scorre al di sotto dell’animo umano e la guerra lo fa tracimare fino a farlo diventare una sorta di normalità da cui pochi riescono a prendere le distanze, pagando un prezzo molto alto. Come me che conobbi le facce e i nomi di molti dei mandanti e degli esecutori dei massacri di Vukovar, Goražde e Srebrenica, e da quel giorno e da quelle prigioni sono costretto a scappare per evitare l’ombra del secondino, senza poter avere vendetta degli assassini di mia madre e mio padre.»

Giallo di Cadmio comprese ora il perché dell’incarico avuto dall’Organizzazione. Si rese conto di quanti complici di quei misfatti, ancora rintanati chissà dove, potessero desiderare di spegnere la voce di Jovan Lucic, proprio ora che si stavano istruendo i processi al tribunale dell’Aia contro i criminali di guerra; certo lui avrebbe potuto far tacere quella bocca, ma non avrebbe mai potuto far tacere la voce dell’opera di quell’uomo, anche dopo la sua eliminazione e il successivo ritiro dalla circolazione. Soprattutto si rese conto che lui stesso sarebbe potuto diventare un bersaglio come una gazzella all’abbeveratoio, qualora qualcuno lo avesse considerato suo malgrado depositario di qualche segreto sfuggito dalla bocca di Spatola Rossa.

Un dubbio s’insinua

Forse fu la sua personalità allenata a essere duttile e malleabile per fronteggiare al meglio tutti gli imprevisti. Forse fu la pietà per il sangue dei caduti che per la prima volta fece capolino nella sua coscienza, o più semplicemente la nausea per il proprio lavoro, che alla fine colpisce tutti, a convincere Lohan che un bel giorno ogni terra restituisce i suoi morti e che lui avrebbe fatto bene a smettere un po’ prima di quel giorno. Allora perché non adesso? Non aveva più voglia di salire su nessun Golgota e di crocifiggere ancora degli innocenti per deporli ai piedi di tutti i complici dei massacri, dei bombardamenti e delle fosse comuni, che fino allora si erano serviti di lui, ben ripagato, per restare nascosti e impuniti. Così stavolta capì che era giunto il momento di predisporre anche per sé un corridoio di fuga sulla terra intrisa di sangue della sua vita.

Tolgo il disturbo

La decisione fu immediata e senza ripensamenti, come sempre. Stavolta però la sua mano, invece di estrarre fulmineamente la penna pistola con proiettili al mercurio dal taschino della giacca, si allungò verso quella di Lucic per dirgli: «Tolgo il disturbo. Mi ha fatto piacere conoscerla, e vedere da vicino i suoi quadri mi ha fatto avere compassione del sangue di ogni vittima, come non mi era mai capitato prima. Il vento dell’Est mi chiama e devo fare la valigia per tornarmene a casa. Addio, signor Lucic.»

«Io adesso sono un pittore apolide, ma lei che lavoro fa e da dove viene esattamente, mister Lohan? Sa, m’incuriosiscono le persone che s’interessano all’improvviso così tanto della mia opera», disse l’altro stringendogli la mano con un misto di simpatia e, per la prima volta, di circospezione.

Giallo di Cadmio si alzò dalla sedia, sistemandola lentamente parallela al bordo del tavolo con riguardosa attenzione. «Da est. Vengo da est e faccio il mediatore», rispose elusivamente con un’occhiata sfuggente.

«D’affari, suppongo.»

«Diciamo… d’interessi contrapposti», chiarì con una sfumatura di sarcasmo.

«Allora sarà costretto a viaggiare spesso. Quando torna a Parigi passi a trovarmi», disse Lucic accompagnandolo alla porta.

«No, meglio di no. Lo dico per lei: non sempre sono una compagnia raccomandabile.» Nel pronunciare quest’ultima frase gli rivolse un sorriso indefinibile e si avviò verso l’uscita senza voltarsi indietro.

Ormai le immagini di quei quadri gli si erano stampate indelebilmente nel cervello.


Enrico Smith

Il racconto è stato ispirato dalla visione delle opere di Claudio Marini e dalla conoscenza personale che l’autore ha dell’artista.